Storie di Malasanità
Errori prenatali: Anestesisti assenti, feto muore prima del cesareo.
Il tema che andremo ad esporre oggi non è certamente dei migliori, parleremo infatti di errori prenatali, questo tipo di errori portano spesso a trasformare un momento di gioia in enormi tragedie. La storia che vi stiamo per raccontare ha avuto luogo presso l’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia, dove si è consumata la tragedia che vede coinvolta una giovane coppia, nello specifico una gestante 32enne, arrivata alla fase finale della gravidanza, alla trentanovesima settimana.
Sottoposta ad uno degli ultimi controlli, la donna e il feto non presentavano alcuna anomalia. Alla, ormai, neo mamma era stato detto che a giorni sarebbe stata chiamata per effettuare il cesareo, ma ciò non accadde nei giorni successivi. E così, insieme al marito, si è recata in ospedale per chiedere spiegazioni sui motivi del ritardo dell’intervento, ricevendo la comunicazione dell’impossibilità di procedere al parto cesareo per l’assenza di anestesisti. La mattina seguente, in seguito alla nuova visita in ospedale, la scoperta della morte del feto.
Errori Prenatali: Il caso giudiziario a seguito della tragedia
Gli errori prenatali riescono più di altri a smuovere la coscienza collettiva, in questo caso abbiamo come protagonisti una giovane coppia e un piccolo nato già morto. Sotto accusa il Presidio ospedaliero che sarebbe stato responsabile del grave caso di malasanità. Un errore che è arrivato fino ai vertici della politica nazionale italiana. Con l’intervento del Ministro della Salute, Roberto Speranza, che in prima persona ha ordinato un’ispezione, per comprendere meglio l’accaduto. La Asp, in un comunicato, ha ricostruito le fasi della vicenda affermando che la signora era stata sottoposta a un controllo e a tutti gli esami utili e non erano emersi problemi per lei e per il feto, quindi era stata mandata a casa.
Le dichiarazioni dell’Asp più nel dettaglio
“In tale circostanza la paziente, oltre alla visita preventiva, veniva sottoposta agli esami di laboratorio e strumentali (prelievo del sangue, ecografia, flussimetria, elettrocardiogramma, etc.) – continua il comunicato – Non emergendo problemi a carico del feto e della stessa paziente, quest’ultima è stata rinviata al proprio domicilio non prima di concordare con i sanitari un ricovero programmato per il 10 ottobre (39° settimana di gravidanza) al fine di procedere con il parto cesareo. Alle 10,21 di oggi la signora è stata sottoposta ad ulteriori controlli, dai quali purtroppo è emersa la presenza di un feto premorto“.
La carenza di personale nella sanità pubblica
Pare che sia stato proprio questa carenza di personale medico la causa del decesso del piccolo. Vediamo meglio i dati del Ministero, per entrare più nel dettaglio.
Nel 2017 il Ministero della Salute conteggiava 104.979 medici assunti a tempo indeterminato nel servizio sanitario nazionale fra Asl, aziende ospedaliere ed universitarie, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, Ares (Agenzia regionale sanitaria) ed Estav.L’equivalente di 1,7 medici ogni 1000 abitanti, con un calo di 3.401 medici rispetto ai dati del 2012.
Non aiuta, in questo senso, che l’età media del personale sia fra le più elevate d’Europa. Sempre nel 2017, secondo le ultime statistiche del ministero della Salute, i medici fra i 30 e i 39 anni assunti a tempo indeterminato rappresentavano appena l’11,3% del totale, contro il 23,9% della fascia 40-49 anni, il 36,7% della fascia 50-.59 anni e il 23,6% nella fascia 60-64 anni. Un dato che assegna all’Italia il primato di medici più anziani su scala Ue, come ricorda Eurostat, evidenziando una quota di over 55 pari al 56% del totale.
I problemi alla base della carenza sono di diverso genere:
-
- Problema uno: l’imbuto formativo
La prima tesi, quella di Anaao, è che il cortocircuito nasca da un «decennio fallimentare nella programmazione dei fabbisogni specialistici», con un rapporto sbilanciato fra i pensionamenti e il numero di contratti formativi finanziati (vale a dire i contratti per le specializzazioni e le borse per la Medicina generale, quelle per la formazione dei medici di famiglia). Insomma, le uscite non si sono accompagnate a un numero adeguato di contratti di formazione che tenesse conto sia del fabbisogno del sistema che del totale di neolaureati in arrivo dalle università.
-
- Probema due: il deflusso verso il privato
“Solo” il 66% degli specialisti opta per il servizio pubblico. E il resto? Una fra le destinazioni alternative è la sanità privata, industria cresciuta fino a diventare concorrenziale a quella pubblica. Secondo stime del Ministero della Salute si conteggiavano, sempre nel 2017, 12.255 medici nelle strutture «equiparate al pubblico», 24.213 medici nelle case di cura convenzionate e 3.326 medici nelle case di cura non convenzionate. In totale si parla di 39.794 professionisti operativi nel settore privato: una cifra pari a oltre un terzo di quelli assunti nel pubblico, anche se le due categorie non si escludono a vicenda.
-
- Problema tre: la carenza di alcune specializzazioni
Il caso più evidente è quello degli anestesisti-rianimatori. L’Istat registrava nel 2018 un totale di 12.966 anestesisti, l’equivalente di 0,21 specialisti ogni 1000 abitanti. Prima della pandemia, il sindacato medico Aaroi-Emac stimava una carenza di almeno 4mila anestesisti-rianimatori negli ospedali italiani.
Oggi il “buco” sembrerebbe essersi ridimensionato con le misure di emergenza, come il ricorso agli specializzandi degli ultimi due anni, ma la crisi sanitaria «rende inalterato il gap tra necessità e personale disponibile in questa specializzazione» spiega il presidente Aaroi- Emac Alessandro Vergallo, ci auguriamo che così sia, per non trovarci ancora di fronte all’ennesima morte bianca.
Comments are closed