Storie di Malasanità
Intervento di routine andato male: gli amputano una gamba
All’epoca dei fatti il paziente aveva 49 anni quando, in seguito ad una caduta in bicicletta fu trasportato al Pronto Soccorso dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, dove gli viene diagnosticata la rottura del collo del femore. Quello che avvenne dopo il primo intervento, considerato in medicina un intervento di routine sviluppa dei problemi che vennero ignorati e i medici gli amputano una gamba, portandolo ad avere una malattia invalidante per la quale dovrà seguire delle cure per tutta la vita.
Un’operazione di routine
Generalmente quello al femore è un intervento considerato di routine che in ambito medico significa che non richiede abilità particolari e per i quali i rischi di esiti negativi o peggiorativi sono estremamente bassi. In questo caso invece qualcosa durante l’intervento è andato male: in seguito all’intervento il 49enne comincia ad accusare una serie di sintomi negativi come giramenti di testa, respirazione irregolare, ma soprattutto dolori che non gli permettono di stare in piedi.
Viene eseguita una TAC di controllo dalla quale non si rileva niente di preoccupante ma il dolore principale, al piede della gamba operata, non passa e anzi, la situazione continua a peggiorare. Infatti le analisi riportano un’alterazione dei valori di coagulazione, una riduzione delle piastrine e soprattutto iniziano a formarsi sul piede delle chiazzature sospette. Questo a due settimane dall’intervento.
L’amputazione e la beffa
La situazione peggiora fino a quando l’uomo seppur arrivato in chirurgia d’urgenza viene mandato a casa con un consiglio, dato alla moglie, di “cambiare dieta e provare a mangiare delle noci”.
Sarà un chirurgo vascolare, finalmente, a rendersi conto della gravità della situazione, ma sarà comunque troppo tardi: vengono fissati due interventi di rivascolarizzazione ma la gamba è orma compromessa. È dopo 21 giorni dall’intervento al femore che l’uomo subisce, in un’altra struttura, l’amputazione dell’arto destro.
Come se non bastasse, il paziente in sede di procedimento penale, ha anche sottolineato la superficialità e la leggerezza con cui è stato preso in carico il suo caso sin dall’inizio: “Io non mi sentivo più un piede e mi sono sentito dire che ero esagerato”. Probabilmente se fosse stato preso sul serio sin dall’inizio, se il suo caso fosse stato seguito con professionalità e accuratezza, è probabile che l’uomo si sarebbe potuto risparmiare l’amputazione e l’essere ora un 56enne con una malattia invalidante per la quale dovrà seguire delle cure per tutta la vita.
Interventi medico-chirurgici di routine: al medico l’onere della prova
La Corte di Cassazione con la sentenza 24074/17 e come chiarito dalla Corte d’Appello di Napoli (sentenza n. 4049/2020) è ormai definito in maniera chiara e precisa l’onere della prova in caso di prestazioni mediche routinarie, ponendo a carico del medico una sorta di presunzione di colpa volta a garantire una maggiore tutela del paziente.
Comunque nel caso in cui il paziente offeso da malpractice voglia far valere i propri diritti, dovrà provare sia l’evento dannoso, sia il nesso causale con la condotta del sanitario, nella sua materialità e cioè a prescindere dalla negligenza e dall’evento dannoso.
Solo dopo che questi abbia adempiuto a tali oneri, il medico (o la struttura) è chiamato a dimostrare di aver adempiuto esattamente o che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile.
Quindi poi spetta al professionista provare che le complicanze non siano state determinate dalla sua responsabilità e dimostrare che siano state, invece, prodotte da un evento imprevisto ed imprevedibile sulla base della diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento. Conseguentemente per escludere la responsabilità del medico in questo genere di ipotesi non è sufficiente invocare l’insorgenza di “complicanze intraoperatorie”, ma è necessario dimostrare la loro eventuale imprevedibilità ed inevitabilità, nonché l’insussistenza del nesso causale tra la tecnica operatoria prescelta e l’insorgenza delle predette complicanze, unitamente all’adeguatezza delle tecniche scelte dal chirurgo per porvi rimedio.
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