Storie di Malasanità
Malasanità a Pescara: donna muore per setticemia contratta durante coronarografia.
I fatti risalgono al gennaio 2013 quando una donna di 59anni muore per setticemia due giorni dopo esser stata sottoposta a coronarografia programmata presso l’ospedale di Pescara. Ad oggi la Corte d’Appello de L’Aquila ha condannato l’azienda sanitaria locale al pagamento di poco più di un milione di euro al marito e ai tre figli della donna confermando così la sentenza di primo grado emessa nel 2019 dal giudice civile, contro la quale la Asl aveva fatto ricorso.
Le cause del decesso
Il decesso, secondo le perizie, sarebbe stato causato da setticemia. La donna era stata ricoverata il 24 gennaio e l’esame effettuato il giorno successivo. I giudici di appello de L’Aquila hanno rigettato il ricorso della Asl di Pescara contro la sentenza di primo grado emessa il 30 dicembre 2019 dal giudice civile del tribunale di Lanciano, ritenendo probanti due perizie su tre, determinante il parere di una delle tre perizie, effettuata da un docente dell’università La Sapienza di Roma, secondo il quale il decesso per arresto cardiaco era sopraggiunto per una “disseminazione batterica multiorgano scatenata dall’esame coronarografico e soprattutto dalla non totale sterilità del catetere introdotto”.
La Asl pescarese è stata condannata al pagamento totale di 1.015.740 euro a favore degli eredi della donna, marito e tre figli. Di nuovo da parte dell’azienda sanitaria locale è stato presentato ricorso ma questa volta subito bocciato.
Esami a rischio setticemia
La coronarografia è un esame radiologico che consente di visualizzare immagini delle coronarie, i vasi arteriosi che avvolgono a corona il cuore e che portano il sangue al muscolo cardiaco. Un piccolo catetere inserito all’interno di un’arteria del polso (radiale) o dell’inguine (femorale), viene fatto risalire sotto guida radiografica fino all’origine delle coronarie. Col mezzo di contrasto si visualizzano le coronarie ed è possibile valutare direttamente la presenza di eventuali ostruzioni.
Da questo esame c’è il rischio di contrarre setticemia? La struttura ospedaliera ha una responsabilità? E se sì, è possibile agire per vie legali nei suoi confronti? Si tratta di interrogativi piuttosto comuni, dal momento che le infezioni che vengono contratte in un contesto ospedaliero, purtroppo, sono tutt’altro che rare. Uno dei casi più frequenti è rappresentato, appunto, dalla setticemia. È necessario, in ogni caso, dimostrare che l’infezione non sussisteva già al momento in cui il paziente è stato ricoverato: solo così si può imputare l’insorgenza dell’infezione alla struttura ospedaliera e di conseguenza attribuire alla stessa una responsabilità.
Le infezioni contratte in ospedale
Sulla base di ciò che viene affermato da prestigiose pubblicazioni di carattere scientifico, deve essere considerata contratta in ospedale un’infezione che si manifesta non prima dei tre giorni successivi rispetto alla data del ricovero. Il paziente, a livello processuale, deve essere in grado di dimostrare che le sue condizioni di salute al momento del ricovero non potevano comportare la presenza dell’infezione. Inoltre bisogna dimostrare che l’infezione possa essere configurata in astratto come origine dei disturbi di salute che si sono verificati in seguito.
Gli oneri per la struttura sanitaria
Sulla struttura sanitaria, invece, incombe l’onere di dimostrare che sono state rispettate tutte le precauzioni del caso e, in particolare, le misure più efficaci e adatte ad assicurare la sterilità del personale, dei locali e degli strumenti, i quali devono essere oggetto di un monitoraggio costante e prolungato nel tempo. Nel caso in cui un paziente al momento del ricovero non mostri sintomi di alcun genere che possano essere ricondotti alla setticemia, si può pensare che vi sia una responsabilità da parte della struttura ospedaliera rispetto alla comparsa dell’infezione legata al ricovero, sempre a condizione che i sintomi siano comparsi almeno dopo tre giorni dall’inizio del ricovero stesso, portando a un peggioramento graduale delle condizioni di salute del paziente o addirittura al decesso dello stesso. In presenza di una responsabilità dell’ente ospedaliero, i congiunti più stretti della vittima hanno diritto a richiedere e ottenere un risarcimento del danno da perdita parentale.
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