Storie di Malasanità
Malasanità a Napoli: muore a 39 anni durante un TSO
Un nuovo caso di Malasanità a Napoli, muore un giovane di 39 anni.
Era stato ricoverato in un reparto psichiatrico con un Tso obbligatorio da dieci giorni, ma in ospedale ha perso la vita. I familiari della vittima, Salvatore D’Aniello, di 39 anni, hanno presentato una denuncia alla Polizia per chiedere chiarezza sulla morte dell’uomo, avvenuta lo scorso 18 giugno all’Ospedale del Mare di Napoli.
Epilogo del caso di malasanità a Napoli
La famiglia, che ipotizza un caso di “malasanità” – assistita dall’ avvocato Giuliano Sorrentino – ha chiesto alla magistratura il sequestro della cartella clinica del 39 enne e lo svolgimento di un’ autopsia per accertare le cause della morte. La salma del giovane è stata trasferita al Policlinico della Federico II in attesa delle decisioni della magistratura.
Salvatore D’ Aniello era in cura per disintossicarsi dalla droga in una Comunità di Vicenza. Con uno dei permessi temporanei era tornato dalla famiglia, che risiede nel rione Montesanto, a Napoli, L’ 8 Giugno il giovane, in stato di alterazione, si recò alla Caserma dei Carabinieri “Pastrengo”, affermando di essere minacciato. I militari , viste le sue condizioni, chiesero l’ intervento del 118 ed il giovane fu ricoverato all’ Ospedale del Mare in regime di TSO. “Da allora – racconta all’ ANSA un cugino, Domenico Monaco, la famiglia non lo ha più visto. ed ha avuto solo contatti telefonici con medici ed infermieri dell’ Ospedale del Mare. Ci dicevano che Salvatore aveva la febbre in seguito ad una polmonite e veniva curato con antibiotici, ma non era in pericolo di vita”. Anche le analisi effettuate venivano definite rassicuranti.
La mattina del 18 Giugno una telefonata di un medico ai familiari informava che Salvatore D’ Aniello era morto durante la notte per una embolia polmonare seguita da arresto cardiaco.
Dalla famiglia – tramite l’ avvocato Giuliano Sorrentino – trapela il sospetto che il giovane sia morto in seguito alla somministrazione di forti dosi di psicofarmaci. “Aveva addosso un pannolone – riferisce il legale – del quale non aveva mai avuto bisogno.
Cos’è il TSO
Il trattamento sanitario obbligatorio consiste nel sottoporre una persona a cure mediche contro la sua volontà. In pratica, il paziente è prelevato – di solito dalla sua abitazione – e ricoverato presso i reparti di psichiatria degli ospedali pubblici, gli SPDC (Servizi psichiatrici di diagnosi e cura), che dalla legge Basaglia in poi sono diventati i luoghi deputati alla cura dei malati psichiatrici.
Secondo la legge 180, può essere sottoposta a TSO una persona che necessita di cure mediche, le rifiuta e non può essere curata a domicilio. Si tratta di una pratica delicatissima, che sospende in modo temporaneo la libertà e la capacità di autodeterminazione dell’individuo. La procedura da seguire è quindi volutamente complessa, e prevede l’intervento di diverse forze: un primo medico che deve richiedere il TSO, un secondo medico (tassativamente psichiatra) che deve convalidarlo, il sindaco (o più verosimilmente qualche suo sottoposto) che deve predisporre l’ordinanza, ambulanzieri e forze dell’ordine che la facciano eseguire, e un giudice tutelare che entro 48 ore convalidi il trattamento. Quest’ultimo può durare al massimo una settimana. Un’eventuale richiesta di proroga deve essere presentata per tempo e convalidata dal sindaco. Spesso si cerca di commutare il ricovero forzato in trattamento volontario; e altrettanto spesso i pazienti accettano, non tanto per reale convinzione, ma perché si tratta del primo passaggio verso le sospirate dimissioni. La minaccia di un nuovo TSO poi rende la volontarietà del ricovero più formale che sostanziale. Nonostante – o proprio a causa – della complicata burocrazia, le zone grigie di questa prassi restano moltissime, e fanno sì che la sua applicazione cambi molto da regione a regione, o addirittura da ospedale a ospedale, secondo una discrezionalità territoriale che rende difficile descrivere in maniera univoca i passaggi della procedura. “Lo strumento del TSO,” spiega a VICE News lo psichiatra Piero Cipriano, “non è necessariamente sbagliato, anzi. È stato concepito come il massimo della tutela possibile per una persona che ha un disturbo psichico grave. Tutto dipende dall’uso che se ne fa.”
Ma è proprio l’ampia discrezionalità di applicazione che ha fatto sì che nelle fessure di una legge democratica potessero resuscitare strumenti e pratiche della vecchia cultura manicomiale. Con il rischio di trasformare uno strumento di tutela in un mandato di cattura che – come si è visto nei casi di questa estate – può anche essere letale
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