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Il Ritardo nella diagnosi non è accettabile nemmeno se la malattia è incurabile, lo dichiara la Cassazione.
A decretalo è la Cassazione, condannando un medico per omicidio colposo, per un ritardo nella diagnosi di una malattia incurabile. Nello specifico ciò che viene determinato è che prolungare la vita di settimane o di anni grazie a una diagnosi tempestiva è un elemento fondamentale da prendere in considerazione quando si deve valutare la responsabilità medica. La Cassazione ha di fatto riaperto il caso, annullando una sentenza della Corte di Appello che scagionava il medico poichè il paziente soffriva di una gravissima forma tumorale, ribaltandone il verdetto totalmente.
Anche prolungare la vita di poche settimane è un elemento da prendere in considerazione nel valutare la responsabilità medica, per questo la Corte di Cassazione ha deciso attraverso la sentenza 50975 dell’8 novembre di annullare quanto precedentemente stabilito in Corte di Appello.
Il medico, in questione, era stato imputato per omicidio colposo per aver scambiato un tumore al pancreas per un’ernia iatale, la giusta diagnosi era arrivata solo quando ormai non erano più possibili interventi per contrastare l’avanzamento della malattia. Un punto cruciale per la Cassazione è proprio la mancata presa in considerazione del tempo di vita che si sarebbe potuto protrarre per settimane se non anni, con la giusta diagnosi.
Ciò che spinse la Corte d’Appello ad assolvere precedentemente il medico era l’impossibilità di contrastare la morte certa derivante dalla patologia, ma la Corte di Cassazione ha trovato invece errata dal punto di vista del diritto tale posizione e dichiara di non comprenderne il verdetto.
L’ambito oncologico, proprio per la sua delicata posizione ha come necessità primaria proprio la diagnosi precoce, le cui conseguenze nefaste non possono essere un’attenuante, qualora la diagnosi possa comportare un’allungamento della vita residua del paziente.
Come segue è tratto dal verdetto “se la morte deriva da un errore diagnostico la sua causa è sempre la patologia, né può essere esclusa la responsabilità del medico che, con il proprio errore diagnostico, lascia il paziente nell’inconsapevolezza di una malattia tumorale dal momento che il ricorso ad altri rimedi terapeutici, o all’intervento chirurgico, avrebbe determinato un allungamento della vita”.
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