Storie di Malasanità
Sentenza di risarcimento dopo 42 anni: trasfusione di sangue infetto è tutt’ora malato di epatite C
Dopo 42 anni arriva la sentenza di risarcimento da 350mila euro all’uomo di 64 anni che ha finalmente vinto la causa legale contro l’ospedale San Camillo di Roma, per una trasfusione di sangue infetto. La struttura ospedaliera si è resa responsabile di aver infettato il paziente, all’epoca 21enne, con l’epatite C, attraverso una trasfusione di sangue resasi necessaria dopo un intervento chirurgico.
I fatti: trasfusione di sangue infetto
La vicenda risale l 1979, quando l’uomo, un ex operaio, fu sottoposto a un intervento chirurgico durante il quale l’uomo ricevette una trasfusione di sangue che successivamente si rivelò essere contaminata dall’epatite C.
L’uomo ha dichiarato di aver iniziato a sperimentare i primi sintomi della malattia pochi mesi dopo l’intervento e di aver subito una serie di cure mediche che non sono state in grado di eliminare il virus. Nonostante ciò, l’uomo ha continuato a lavorare fino a quando la sua salute non si è aggravata a tal punto da impedirgli di proseguire. Subito dopo aver scoperto che l’epatite C era stata causata dalla trasfusione di sangue ricevuta durante l’intervento, l’uomo ha iniziato una battaglia legale per ottenere giustizia.
La causa legale ha richiesto molti anni di battaglie e di dibattiti per poter provare e dimostrare che l’ospedale fosse effettivamente responsabile per l’epatite contratta. Durante questo periodo, l’uomo ha affermato di aver perso la fiducia nel sistema giudiziario e di aver pensato di non poter mai ottenere giustizia per ciò che era successo. Tuttavia, alla fine, giustizia è stata fatta e l’uomo ha ricevuto un risarcimento di 350mila euro.
Questa vicenda solleva anche la questione della sicurezza delle trasfusioni di sangue e della necessità di assicurare che tutti i prodotti del sangue siano testati e sicuri prima di essere somministrati ai pazienti. Inoltre, è importante che i pazienti siano informati dei rischi e delle possibili conseguenze delle procedure mediche, in modo che possano prendere decisioni informate sulla loro salute.
Normativa sul danno da trasfusione di sangue infetto
Il Ministero della Salute vietava le donazioni di sangue a rischio infezione, facendo riferimento in particolare all’epatite virale, nella circolare n. 50 del 28.03.1966. Tuttavia, già all’inizio degli anni ’70 l’Italia dovette affrontare il problema del sangue infetto, una vicenda sviluppatasi dagli anni ‘70 agli anni ‘90 che ha visto la somministrazione di sangue e plasma non testati per la presenza dei virus delle epatiti virali (HBV e HCV) e dell’HIV. La maggioranza dei contagi è avvenuta tra i malati talassemici ed emofilici, costretti a effettuare periodiche trasfusioni prima della formulazione degli specifici farmaci emoderivati. Inoltre, molti contagi si sono verificati in trasfusi occasionali nel corso di interventi chirurgici o nel caso di emorragie.
Un’importante svolta normativa si ebbe con la Legge 210/1992, cioè la legge sull’indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile, a causa di trasfusioni e somministrazione di emoderivati.
I beneficiari previsti sono gli individui che siano stati contagiati da infezioni da HIV a seguito di somministrazione di sangue e suoi derivati e anche i soggetti che presentano danni irreversibili causati da epatiti post-trasfusionali. L’indennizzo, è rivolto alla vittima di sangue infetto e corrisponde a un assegno bimestrale vitalizio, di importo variabile in funzione della gravità dell’infermità.
Anche i parenti della vittima possono ricevere l’indennizzo qualora, a causa della malattia trasmessa e dell’infermità, sia derivata la morte del danneggiato. In ogni caso, ciascuna ipotesi presuppone che il decesso della vittima sia avvenuto per cause strettamente connesse all’infezione dovuta al sangue infetto.
Comments are closed